
Chi è l'amatissimo padre di Alessandro Borghese ( Fonte IG @borgheseale ) - zafferanodop.it
Luigi Borghese, padre di Alessandro Borghese, è morto dopo una lunga malattia. Lo chef lo ricorda con parole intense, tra motori, cucina partenopea e lezioni di vita.
Era solo un mese fa quando Luigi Borghese, padre dello chef Alessandro Borghese, è venuto a mancare dopo una lunga malattia. Imprenditore di origine napoletana, marito per oltre trent’anni dell’attrice Barbara Bouchet, Luigi aveva segnato la vita del figlio in maniera profonda e concreta, lasciando un segno indelebile nel suo modo di vivere e di essere. In un’intervista a Vanity Fair, Alessandro ha scelto di raccontarlo con emozione, tra aneddoti familiari, profumi di cucina e ricordi vissuti sul campo, tra lavoro e corse in moto.
Il ragù della domenica e le radici napoletane
“Papà per me è svegliarmi con l’odore del ragù sul fuoco” dice Alessandro Borghese, evocando quelle mattine d’infanzia in cui, appena bambino, correva in cucina per guardare suo padre preparare il pranzo della domenica. Una cucina partenopea autentica, trasmessa da nonna Concetta, fatta di casatielli, sartù di riso e schiaffoni in pummarola. Il ragù, racconta, “lo metteva a cuocere la mattina presto perché, diceva, deve pensare”.

Ma Luigi Borghese era molto di più. Nato in una famiglia numerosa e modesta, tredici fratelli, il padre morto giovane in pista da corsa, aveva iniziato a lavorare a nove anni vendendo arance al casello. Da lì si era fatto da solo: prima il commercio di autoricambi, poi una casa d’aste, e ancora una casa di produzione cinematografica dopo aver conosciuto Barbara Bouchet. Alessandro lo seguiva ovunque, imparando a osservare e a stare tra le persone. “Aveva la terza media ma ci sapeva fare con la gente. Era charmant, un napoletano elegante, con una galanteria d’altri tempi”.
Il primo incontro con sua madre fu un colpo di fulmine. “Quando vide mia madre impazzì, ma ci mise mesi a conquistarla” racconta. La gelosia non mancava, ma l’orgoglio vinceva su tutto. “Guardate pure mia moglie, tanto è mia moglie” diceva con fierezza.
Dai motori alla televisione: l’orgoglio di un padre che non smetteva di stupirsi
Luigi era un uomo che aveva il sogno sempre acceso. Appassionato di motori, possedeva una scuderia di moto, e con Alessandro condivideva le corse e l’adrenalina. Anche quando la malattia si era fatta strada – un linfoma non Hodgkin che lo accompagnava da dieci anni – non si arrendeva mai. Appena si rimetteva, risaliva in macchina e raggiungeva il figlio a Milano.
La fine è arrivata all’improvviso: “Una notte, ricoverato per una crisi respiratoria, la mattina non c’era più”. La voce di Alessandro, nel ricordo, si spezza ma non cede al dolore. “Mi manca ogni giorno, ma non posso essere triste. Ha fatto una gran bella vita, e l’ha fatta fare anche a me”.
Parole semplici, dirette, come quelle che si usano in famiglia. E in fondo è proprio lì che il ricordo di Luigi Borghese continua a vivere, tra un piatto fumante di ragù e un figlio che, davanti alle telecamere, non smette mai di onorare le sue origini.